E pensare che c’è chi, sul luogo di lavoro, costruisce amicizie durature, altri invece persino ci incontrano l’anima gemella…
Io?
Bhè, io quotidianamente affronto consapevolmente, ovviamente in sicurezza, situazioni davvero poco simpatiche e potenzialmente pericolose.
Devo ammetterlo, ho dovuto lavorare molto su me stesso per imparare ad accettare queste circostanze con la tranquillità necessaria ad aiutare al meglio i miei clienti.
Spendendo tempo ed energie, mi sono costretto alla curiosità e alla competenza.
Salticidae Sp.
Il diavolo non è brutto come si dipinge, recita un famoso detto popolare quindi ora, anche se non posso certo dire di amare alla follia alcuni animali, con il tempo e con lo studio, ho imparato a conoscerli e in una qualche misura ad apprezzarli.
Alle volte proprio per questo il mio mestiere è quello del mediatore.
Èh? Direte stupiti.
Si! Strano vero? Alle volte devo fare il mediatore tra le paure – sempre più spesso vere e proprie fobie – e il reale problema.
La percezione infatti tende ad ingigantire la problematica facendoci compiere azioni pericolose e controproducenti.
La mediatica poi, complice la fame di notizie urlate e, come si direbbe oggi acchiappa like, non perde mai occasione di creare facile allarmismo.
È il caso del “famigerato” ragno violino che ho incontrato alcuni giorni fa in uno scantinato a Bologna e che è il vero responsabile di questo articoletto.
Loxosceles rufescens – ragno violino –
Loxosceles rufescens è una specie tipicamente mediterranea da sempre diffusissima sul nostro territorio che, contrariamente a ciò che si potrebbe pensare, è più probabile incontrare in casa che all’aperto.
È uno dei due ragni pericolosi presenti in Italia – l’altro è Latrodectus tredecimguttatus, anche detto malmignatta – ma, come vedremo, la sua percolosità è relativa.
– Il suo veleno citotossico può efettivamente provocare delle piccole lesioni cutanee di difficile guarigione che si risolvono però, nella stragrande maggioranza dei casi, nel giro di un paio di settimane.
Le lesioni più gravi possono necessitare di terapie mediche.
Non è uno spietato killer, MORDE PER DIFESA quando viene inavvertitamente schiacciato e, essendo un animale molto schivo e riservato, la probabilità di incontrarlo, schiacciarlo ed essere morsi è davvero molto ridotta!
I suoi morsi sono un evento raro e numericamente trascurabile.
Rimanendo negli arachidi c’è un’altro animale, questo non pericoloso, che turba i sonni di non poche persone.
Hogna radiata – ragno lupo o falsa tarantola –
È la Hogna radiata, anche detta ragno lupo o falsa tarantola.
Il ragno lupo esce dalla tana durante la notte per cacciare. La sua dieta è composta prevalentemente da altri artropodi, compresi ragni di minori dimensioni, che cattura grazie alla fine vista fornitagli dai grossi occhi che contraddistinguono proprio questi ragni.
Solitamente non è aggressivo e preferisce la fuga ma bisogna comunque prestare attenzione al morso delle femmine che abbiano un ovisacco.
Ragni quindi ma anche scorpioni e scolopendre… dei quali magari un giorno parleremo in un altro articolo!
Nel caso incontriate queste bestiole tentate di stare calmi mantenendo la lucidità necessaria a gestirli.
La storia è questa, e tutte le volte che mi capita di osservarla e/o ascoltarla giuro che quei pochi capelli che mi sono rimasti in testa si imbiancano un pò di più.
Avrete conosciuto anche voi quei giovani genitori che spendono tutte le loro energie per la tutela del loro piccolo.
Si?
Siamo sinceri, se come me avete una bimba o un bimbo alle volte, e di questo ne sono più che sicuro, siamo scivolati tutti in questo girone infernale.
Il problema però è che spesso, e senza rendercene conto, l’apprensione si trasforma in irrazionalità.
Ho conosciuto persone che in preda al panico più totale hanno acquistato nel negozietto sotto casa, e giuro non sto scherzando, decine di bombolette di insetticida, consumandole come non ci fosse un domani all’esterno e all’interno delle loro abitazioni.
Abbindolate dalla pubblicità, dalla libera vendita, da parole come ECO o BIO e dalle profumazioni invitanti le persone spruzzano.
Spruzzano ovunque.
Anche Topolino, con scarso successo, si è affidato al FAI DA TE
Scatenando una vera e propria guerra senza quartiere nei confronti di un nemico non meglio identificato.
Il pargolo poi, a pochi metri di distanza dal campo di battaglia, li a guardare i “guerrieri” mentre, dimenandosi armati delle due lattine, creano nuvole di “vapore” bianche che si spandono in ogni dove.
È la strategia della “pillola magica”.
È la strategia di chi, suo malgrado, non ha minimamente compreso cosa significhi utilizzare un insetticida e, sopratutto, dei passi necessari per utilizzarlo in maniera efficace e sicura.
Ad un occhio poco attento e allenato, e lo capisco, qualunque cosa può essere avvertita come un potenziale pericolo.
Il fatto è che nella maggioranza dei casi la reazione è spropositata e la cura FAI DA TE, che senza ragionare si sceglie, può essere pericolosa.
Pericolosa per l’ambiente ma sopratutto pericolosa proprio per coloro ai quali vogliamo bene e che vorremmo tutelare.
Si avvicina il picco delle pizzicate, eggià, purtroppo non è ancora finita la stagione delle zanzare!
Si avvicina il picco delle pizzicate e la ragione è una, alcune zanzare, ben presto, avranno bisogno di molte più proteine.
Perchè?
Perchè le femmine di alcune specie di zanzara, tra cui l’Aedes albopictus – la famigerata zanzara tigre per intenderci – andranno a deporre le uova che si schiuderanno l’anno prossimo… dando vita ad una nuova generazione di questi insetti.
Aedes albopictus
– Ripetiamo insieme e diciamo: “no acqua, no zanzare!”
– “NO ACQUA, NO ZANZARE!”
Nelle ultime settimane poi, sono apparsi diversi articoli giornalistici riguardanti la West Nile, malattia trasmessa dalla Culex pipiens – la nostra zanzara comune – e, quello che leggo sui commenti sotto agli stessi sui social mi lascia non poco perplesso:
Erba alta e tantissime zanzare…
È ma bisognerebbe gestire il verde pubblico…
Culex pipiens
– Ripetiamo insieme e diciamo: “No acqua, no zanzare!
– “NO ACQUA, NO ZANZARE!”
Lo so che è sconvolgentemente semplice, pare quasi banale ma, se dopo 30 anni di comunicazione istituzionale, questo semplice concetto non è passato qualche cosa di sbagliato deve pure esserci a livello comunicativo.
Non solo ci siamo dimenticati che all’inizio del secolo scorso il nostro paese era falcidiato dalle malattie trasmesse dalle zanzare, ma anche che i nostri malariologi erano tra i più preparati al mondo.
Ci siamo dimenticati pure di tutte le opere di bonifica che, come scopo non secondario, avevano proprio l’eradicazione delle malattie trasmesse dalle zanzare.
Io capisco l’abitudine alla delega, capisco pure la colpevolizzazione alle amministrazioni, non ne faccio certamente una questione di colorazione politica ma, anche se non sarebbe il mio compito, vi svelo tre fatti curiosi sulle zanzare che forse non conoscete:
le zanzare non hanno padrone!
le zanzare non si affezionano!
le zanzare non sanno cosa sia una recinzione!
Quindi, se anche amorevolmente le allevate nei vostri spazi abitativi ospitandole nei ristagni d’acqua, queste non si limitano a pungere Voi, queste carognette si distribuiscono e vanno a pungere anche i vostri vicini.
Simpatici o antipatici che siano.
Proprio come sta succedendo con il Covid-19 siamo tutti chiamati a fare la nostra parte, ed è proprio come indossare la mascherina, tuteliamo noi stessi per tutelare gli altri!
Svuotate i ristagni di acqua!
SVUOTATE I RIATAGNI DI ACQUA!
Sotto una piccola galleria fotografica degli orrori che ho raccolto nei giorni scorsi.
Èggià, sembra incredibile ma anche le formiche, proprio come noi, sono “allevatrici”.
Offrendo protezione, sino ad arrivare a conservarne nel proprio formicaio durante i mesi invernali le uova, allevano gli afidi che, grazie al loro apparato boccale, raccolgono così tanta linfa da eliminarne gran parte sotto forma di “melata” e che viene poi raccolta proprio dalle formiche.
Pensate che, in questo piccolo mondo, esiste addirittura un qualcosa che può assomigliare alla mungitura, le formiche infatti, grazie alle loro antenne, riescono a stimolare il proprio “bestiame” ad emettere, dalle due protuberanze poste nella parte posteriore dell’addome, la ghiottissima sostanza.
Crematogaster scutellaris con il raccolto e la sua mandria.
In questi vent’anni di attività in FLASH, l’azienda che gestisco assieme al mio papà Roberto, ho avuto spesso occasione di approfondire nel dialogo con i miei clienti alcuni aspetti del mio particolare settore lavorativo.
E una cosa ho imparato: non sempre è possibile trovare una soluzione semplice e immediata a tutte le situazioni in cui è necessario un intervento di igiene ambientale.
A volte, all’aspettativa che un “farmaco miracoloso” possa risolvere subito il fastidio o il pericolo di un’infestazione, occorre affiancare un’azione più ampia che non solo – quando è possibile – elimina il sintomo, ma permetta una “guarigione” completa.
Il “vecchio” modo di disinfestare
Il mercato spinge ancora, purtroppo, verso prodotti one shot, da una “botta e via” insommma… Ma i fattori che determinano un’infestazione sono tanti e non basta togliere un dente malato per garantire la salute della bocca, e in ogni caso, non ci si improvvisa dentisti. Così come non ci si improvvisa disinfestatori: non basta la bomboletta, se il problema è importante.
Equilibrio
In ognuno di noi inoltre sta crescendo la coscienza di una responsabilità ambientale sempre più rispettosa e in equilibrio con gli ecosistemi e purtroppo certe soluzioni tanto sbandierate, con l’intento di eliminare i nostri problemi immediati, creano danni devastanti che si ripercuotono sulla salute di tutti.
La formica fattore. Crematogaster scutellaris intenta nella raccolta di melata prodotta dagli afidi.
La conoscenza del comportamento animale dell’infestante che si decide di contrastare risulta quindi fondamentale non solo nella scelta del principio attivo ma anche, e sopratutto, nell’atteggiamento e nella strategia di gestione da adottare.
Per questi motivi, credo sia importante conoscere un po’ meglio il mondo delle disinfestazioni e degli infestanti.
È nato prima l’uovo o la gallina? Nel nostro caso, ahi noi, sono nati prima gli insetti!
I parassiti hanno tormentato gli esseri umani da tempo immemorabile. I fossili ci confermano infatti la presenza di mosche gia molto tempo prima del nostro avvento sulla terra. Il primo caso di controllo dei parassiti risale, quindi, al tempo in cui un essere umano uccise per la prima volta una zanzara o schiacciò una fastidiosa mosca.
Avete presente quelle immagini dei documentari delle scimmie che si spulciano – grooming – vicendevolmente? Ecco, l’arcaica pratica di prendersi cura dell’altro, alleviando il fastidio dei parassiti, secondo alcuni primatologi risulta essere un collante fondamentale per la socialità, esso infatti cementifica il rapporto tra gli individui. E cos’altro è se non una disinfestazione? meccanica ok, certo, ma di disinfestazione indubbiamente si tratta!
Un’altro impulso davvero forte alla ricerca di soluzioni che potessero rendere la vita un pochino più confortevole è la fame, o meglio, la necessità di produrre, stoccare e conservare sempre maggiori quantità di cibo. Pensate che ancora oggi la perdita delle derrate alimentari causata dai parassiti, ha una incidenza media sulla produzione che si aggira tra il 35 e il 40%. Vi è stato quindi, già nel passato, un grande incentivo a trovare il modo di superare gli enormi problemi causati da parassiti e malattie.
Quasi tutte le antiche civiltà ricorrono a misure di controllo dei parassiti e all’uso di sostanze per uccidere o respingere i dannosi insetti. Il primo uso di insetticidi risale a circa 4500 anni fa ad opera dei Sumeri che usavano composti di zolfo per controllare insetti e acari. Circa 3200 anni fa i cinesi impararono ad usare mercurio e composti di arsenico per controllare i pidocchi del corpo. L’antica civiltà greca usava il fuoco per scacciare le locuste verso il mare, il matematico greco Pitagora, si narra, arrivò a prosciugare addirittura le paludi di una città sarda per eliminare la malaria. Nel 1200 a.C., ancora i cinesi dispiegarono formiche predatorie contro parassiti come scarafaggi e bruchi. Alcuni scritti dell’antica Roma mostrano che religione, magia popolare e l’uso di quelli che possono essere definiti metodi chimici sono stati provati per il controllo di malattie delle piante, erbacce, insetti e parassiti degli animali.
Poiché ovviamente non vi era una vera e propria industria chimica, i prodotti utilizzati dovevano essere di derivazione vegetale o animale o, se di natura minerale, facilmente ottenibili e disponibili.
Si hanno notizie di fumi usati contro muffa e peronospora. Il principio era quello di bruciare alcuni materiali come paglia, ritagli di siepe, granchi, pesci, sterco o corna di animali contro vento in modo che il fumo stesso, preferibilmente molto maleodorante, si diffondesse in tutto il frutteto, il raccolto o la vigna. Furono usati fumi anche contro gli insetti, così come vari estratti vegetali come il lupino amaro o il cetriolo selvatico. Il catrame veniva usato sui tronchi degli alberi per intrappolare gli insetti striscianti. I persiani hanno usato la polvere per proteggere il grano immagazzinato. I crociati riportarono informazioni in Europa che si rivelarono utili nel contro dei pidocchi.
Il piretro, che deriva dai fiori secchi del crisantemo è stato usato come insetticida per oltre 2000 anni.
La storia, come abbiamo visto, parte da lontano, talmente lontano che forse allora il disinfestatore, o la pratica della disinfestazione, può giocarsela a pieno titolo con il ben più famoso lavoro nel primato del mestiere più antico del mondo!
Come spesso accade traggo ispirazione da un fatto poco noto del mio paese, Stellata, per allacciarmi, sperando di non essere troppo noioso, in quella che è la mia realtà lavorativa.
La mia aspettativa è quella di offrire alcuni spunti di riflessione sul mondo degli infestanti e di quanto la loro influenza sia stata in grado di modellare il mondo per come lo conosciamo.
Buona lettura!
Dal 1708 la Prussia e la Germania meridionale sono scosse dalle peste e, nonostante si provi di tutto per arrestare il contagio tra il 1711 e il 1714 la peste bussa, se possibile in maniera ancora più virulenta, nuovamente, in quei territori.
Tutti gli Stati tentano di correre ai ripari e lo Stato Pontificio, ovviamente, non è da meno.
Ogni Stato presidia i confini, rafforzando i controlli nel tentativo di contenere la mortale malattia.
Anche a Stellata, probabilmente seguendo le direttive degli “Ordini e avvertimenti ne casi di sospetti di peste” (del 1623), si attuano tutte le misure ritenute necessarie per evitare la propagazione della pestilenza nei territori amministrati dalla Chiesa.
Nel 1713, perseguendo la sua opera missionaria su invio di Papa Clemente XI, il gesuita Paolo Segneri juniore (nipote del più celebre Paolo Segneri) tenta di giungere nei territori stellatesi, ma il confine è blindato e a causa delle restrizioni non può proseguire. Nessuna eccezione: tutte le persone in transito sono costrette alla quarantena.
E’ nella storia della sua vita che si ritrova un’efficace descrizione delle azioni di controllo contro la diffusione della peste: <<Quindi nel secondo giorno dopo Pasqua passò per dar principio alle sue Apostoliche fatiche nella terra della Stellata, ma co trovarv’ivi tali ostacoli al suo sacro ministero, che gli fu forza di arrestarsi. Graffiafa allora in alcune province della Germania il contagio con grave pericolo ancora per l’Italia; il perché banditi quei paesi, e i loro aderenti, lo Stato Pontificio e quello della Serenissima Repubblica di Venezia custodivano con gran gelosia i loro confini e spezialmente alla Stellata per la vicinanza de gli Stati di Mantova e di Modena. Cancelli, e guardie dappertutto; strade rotte o chiuse; le adunanze mal vedute; anzi emanati ordini rigorosi, che niuno degli abitanti uscisse di casa prima del giorno, e che all’imbrunir della sera si ritirasse ciascuno; … e in siffatta costituzion di cose, il far quivi le Missioni secondo il metodo suo, determinò saviamente di rivolgere altrove…>>
Infatti, ottenuto il permesso dal Cardinale di abbandonare questi luoghi si imbarcò sul Po per dirigersi verso Pesaro e prendere poi la via del mare.
La Pasqua nel 1713 si celebrò nella Domenica 16 Aprile il gesuita Paolo Segneri juniore giunse quindi a Stellata il 18 dello stesso mese.
Nonostante tutti i tentativi e le misure restrittive messe in campo dai vari governanti nelle epoche passate spesso, come nel nostro caso dettagliatamente descritte e rese uniformi in tutto il territorio attraverso le disposizioni contenute negli “Ordini e avvertimenti ne casi di sospetti di peste” (del 1623), risultavano inefficaci ed inadeguate.
La totale mancanza di basi scientifiche certe per contrastare il morbo rendeva quindi forte nella popolazione l’esigenza di affidarsi alla fede implorando il divino.
La chiesa, attraverso le rogazioni, tentava proprio di offrire questa speranza.
A peste, fame, et bello, libera nos Domine! A flagello terrae motus, libera nos Domine! Te rogamus. Audi nos Domine
In quell’epoca il cristianesimo non era soltanto una religione ma il vero e proprio modus vivendi che regolava la vita del mondo.
Il termine rogazioni deriva dal latino rogatio preghiera, supplica.
Si partiva dalla chiesa di buon mattino in processione cantando le litanie, quando poi si arrivava alla meta prestabilita si benediceva il terreno e si celebrava la messa solenne.
La storia della peste è complessa ed ha piagato e cambiato il mondo, mietendo milioni di vittime, per secoli.
Solo nel 1894 Alexandre Yersin, ad Hong Kong, contemporaneamente a Shibasaburō Kitasato, scoprì il bacillo della peste (Pasteurella pestis) mettendo a punto un siero.
In suo onore il bacillo sarà ribattezzato Yersinia pestis.
Oltre al bacillo Alexandre Yersin si era accorto anche che i ratti costituivano il principale veicolo di diffusione della malattia, senza però riuscire a comprendere le modalità della trasmissione, da cui l’annotazione:
«La peste è dunque una malattia contagiosa e inoculabile. È probabile che i topi ne costituiscano il veicolo principale, ma ho constatato che anche le mosche prendono la malattia.[17]» (Alexandre Yersin)
La scoperta dell’origine animale, e il suo successivo collegamento con i ratti e con le loro pulci, diede slancio alla ricerca ma fu anche importante per capire come e perchè questa drammatica malattia riuscisse a flagellare interi continenti nelle epoche passate.
Lo stretto rapporto di convivenza tra uomini e ratti ne era il punto focale.
Le pessime condizioni igieniche, le costruzioni permeabili, le precarie metodologie di stoccaggio degli alimenti che offrivano proprio ai ratti risorse pressocchè illimitate unite ai commerci e agli scambi quotidiani non solo tra campagna e grandi città, dove tutte queste problematiche vista la densità abitativa venivano amplificate, ma anche tra continenti diversi.
Gli uomini e i ratti non condividevano solo gli spazi abitativi ma anche i mezzi di trasporto come le navi, per esempio, attraverso le quali un animale infetto poteva portare ovunque il virus con sé.
Una curiosità dei giorni nostri.
Durante il lockdown dello scorso anno ho assistito personalmente ad un solo apparentemente ingiusticato aumento della problematica dei ratti.
Le restrizioni e la conseguente modificazione delle nostre abitudini e dei nostri comportamenti stava, molto probabilmente, causando effetti a catena nell’intero ecosistema urbano.
Il comportamento di questi animali è stato, per me, tra i cambiamenti più evidenti.
I ratti scendevano in strada in pieno giorno, uscendo dai propri nascondigli, per invadere case e condomini.
A fronte di queste osservazioni ho incominciato a ricercare in rete notizie al riguardo e, “stranamente”, in tutto il mondo si osservavano fenomeni analoghi.
Le persone che mai avevano avuto problemi con i roditori stavano improvvisamente affrontando questi indesiderati “visitatori”.
La risposta però, se ci si pensa un pò sopra, è abbastanza banale e scontata.
Quando le colonie di ratti hanno iniziato a perdere le loro abituali fonti di cibo, che si tratti di rifiuti e bidoni della spazzatura nei parchi riempiti quotidianamente da turisti e residenti o di cassonetti fuori dai ristoranti, in quel drammatico periodo chiusi causa Covid-19, hanno cominciato a lottare per qualsiasi fonte rimasta disponibile.
Alcuni ratti sono arrivati ad uccidere e mangiare i loro simili per sopravvivere.
Altri invece si sono dispersi avventurerandosi in spazi a loro sconosciuti alla ricerca di nuove fonti di cibo.
Questa esperienza a conferma di quanto noi e le nostre consuetudini siamo a volte la principale causa di severe e potenzialmente pericolose infestazioni.
Per riflettere su questa ricorrenza ho pensato di regalarvi questa piccola curiosità che abbraccia in toto quello che è il mio piccolo mondo.
La passione per il mio lavoro, la passione per la storia e l’amore viscerale per il paese in cui abito sono tutti, stranamente, rinchiusi in questa vicenda.
Conoscete il Duca Federico da Montefeltro?
Ma si dai, Federico, il Duca di Urbino, uno dei più grandi personaggi del rinascimento italiano.
Ebbene, il Duca, al soldo degli Este, nel 1482 è a Stellata impegnato contro i veneziani in quella che verrà ricordata come la guerra del sale.
L’ormai anziano, ma pur sempre temibile condottiero, purtroppo si ammala.
Quello che non hanno potuto le alleanze, le armi ed i cannoni ha potuto una piccola ed “insignificante” zanzara.
Èggià…
Colui che ha trovato fortuna proprio con la crudezza della guerra, guidando sprezzante la sua compagnia di ventura, si ammala di malaria.
Negli ultimi giorni della sua vita, febbricitante, viene portato a Ferrara dove muore il 10 settembre dello stesso anno.
Così, solo per dire quanto peso possano avere avuto questi insetti nella nostra storia…
In foto: Federico da Montefeltro dipinto dal maestro Piero della Francesca
Vivi in un deserto e non te ne rendi conto. La città è un’isola, un’oasi, l’ultima riserva. Ti potrà pure sembrare strano ma ormai c’è più natura in città che nella campagna.
Sembra l’incipit di uno di quei film terrorizzanti vero? Uno di quei film adrenalinici dove un microscopico agente patogeno trova la condizione ideale per il suo sviluppo atto ad intaccare la vita come la si conosceva. Sembra quasi, a pensarci, l’inizio di uno di quei romanzi distopici dove l’umanità, cieca di fronte a se stessa, rischia l’estinzione.
È però, purtroppo, ciò che la mia attività lavorativa mi porta a vedere quotidianamente. È quello che, mio malgrado, mi trovo a constatare giorno per giorno.
L’artificialità come nuova nicchia con tutte le dinamiche proprie di un ambiente naturale. Strano? Per niente, dal punto di vista ecologico è assolutamente normale!
È però una realtà alla quale non siamo pronti, non siamo preparati. Una realtà alla quale, arrogantemente, vogliamo continuare a non credere, assuefatti come siamo da noi stessi e dalle nostre perennemente temporanee e facili “soluzioni”.
Le infezioni trasmesse dalle zanzare, che ne sono tra i maggiori vettori responsabili, comportano un grave onere per la salute pubblica in tutto il mondo e colpiscono, oltre all’uomo, anche il bestiame e la fauna selvatica.
A livello globale, questi agenti patogeni, rappresentano più del 17% di tutte le malattie infettive nell’uomo e causano più di 700.000 decessi ogni anno.
Si avete letto bene.
Settecentomila decessi all’anno sono causate da esserini lunghi appena 4 millimetri circa. E questo, nel nostro mondo occidentale, non ci spaventa, quasi non ci tocca, o meglio, quelle rare volte in cui riesce a penetrare le coscenze lo fa superficialmente a seguito di emergenze, salvo poi tornare rapidamente all’iniziale tepore della routine.
I fattori ambientali e demografici che influenzano la distribuzione di questi vettori stanno attualmente subendo radicali cambiamenti.
È sotto agli occhi di tutti, anche dei più scettici.
Le emergenti tendenze climatiche, con conseguenti modificazione delle stagioni e degli eventi che risultano essere sempre più estremi ed iperlocalizzati unitamente all’espansione dell’uso del suolo, ad una urbanizzazione a dir poco miope nei confronti di una corretta gestione ambientale e ad una ostinata perseveranza nelle scorrette abitudini abitative – siano esse domestiche o lavorative poco importa – si tradurranno a breve, nei loro evidenti disequilibri, in un notevole peggioramento della qualità della vita.
I paesaggi urbani forniscono condizioni ambientali favorevoli all’insorgenza di diverse malattie infettive trasmesse dalle zanzare
La maggior parte delle infezioni trasmesse da vettori sono, in questi ambiti, il prodotto della distribuzione peridomestica dei focolai di sviluppo e, questa convivenza domiciliare, deriva dagli ambienti generati dalle attività e dalle abitudini umane oltre che dalla innata capacità dei vettori di adattare il loro ciclo di vita ai nuovi habitat così generosamente offerti.
Per farla semplice le malattie trasmesse dai vettori hanno bisogno di tre cose: un ospite, un patogeno ed un vettore.
Come nel triangolo del fuoco: combustibile, comburente e innesco, che sicuramente sarà famigliare a tanti, bisogna lavorare per sottrazione, togliendo infatti uno solo di questi elementi si eliminerà la possibilità della combustione così, nella trasmissione delle malattie, o più propriamente delle arbovirosi, togliendo uno dei tre elementi all’equazione riusciremmo a debellare la problematica. Diventa quindi, in questo contesto, fondamentale dismettere quella che definisco l’estasi da farmaco, quella tendenza alla delega di un prodotto della risoluzione di un problema, che ha contraddistinto gli ultimi decenni mirando ad una sempre maggiore consapevolezza culturale ed educativa.
È incredibile come in poco più di 100 anni si sia dimenticato di quanto l’ambiente, ed il suo uso, possano influire nella salute pubblica.
40 anni, solo 40 anni di relativa calma e abitudine, ci hanno reso nuovamente, e pericolosamente, permeabili all’enormità di questa tematica.