Il nemico sconosciuto

La costruzione del Canale di Panama rappresenta una delle imprese ingegneristiche più ambiziose e travagliate della storia moderna. Il progetto, inizialmente avviato dalla Francia sotto la guida di Ferdinand de Lesseps, già celebre per il successo del Canale di Suez, si trasformò in un incubo logistico, sanitario e finanziario .

L’Audacia Francese e il Fallimento Incombente

Nel 1879, il Congresso Internazionale di Parigi approvò la costruzione di un canale attraverso l’istmo di Panama, con de Lesseps come principale promotore. Nonostante l’esperienza maturata con il Canale di Suez, de Lesseps sottovalutò le sfide uniche del territorio panamense. Il progetto prevedeva un canale al livello del mare, senza chiuse, ignorando le complesse condizioni geografiche e climatiche della regione. Le difficoltà tecniche, unite a una gestione finanziaria discutibile e alla corruzione dilagante, portarono al fallimento della Compagnie Universelle du Canal Interocéanique de Panama nel 1889, causando perdite per circa 1,8 miliardi di franchi e rovinando finanziariamente circa 85.000 investitori.

Il Nemico Invisibile: Le Zanzare

Oltre alle sfide ingegneristiche e finanziarie, un nemico piccolo ma letale contribuisce al disastro: le zanzare. Durante i lavori, migliaia di operai persero la vita a causa di malattie tropicali come la malaria e la febbre gialla, trasmesse proprio da questi insetti. All’epoca, la connessione tra zanzare e diffusione di queste malattie non era ancora compresa, e le misure preventive erano inesistenti o inefficaci. Le condizioni ambientali dell’istmo, caratterizzate da acque stagnanti e clima umido, favoriscono la proliferazione delle zanzare, trasformando i cantieri in focolai di infezione.

La Rinascita Americana e la Vittoria sulla Natura

Dopo il fallimento francese, gli Stati Uniti presero in mano il progetto all’inizio del XX secolo. Una delle prime sfide affrontate fu proprio il controllo delle malattie tropicali. Grazie agli studi del medico cubano Carlos Finlay e alle ricerche del medico statunitense Walter Reed, si comprese il ruolo delle zanzare come vettori di queste malattie. Questo portò all’adozione di misure preventive efficaci, come la bonifica delle aree paludose e l’uso di zanzariere, che ridussero drasticamente l’incidenza delle infezioni. Con il controllo delle malattie e l’introduzione di un nuovo design del canale, che prevedeva l’uso di chiuse per superare le variazioni altimetriche, i lavori ripresero con successo. Il Canale di Panama fu inaugurato il 15 agosto 1914, realizzando finalmente il sogno di collegare l’Atlantico al Pacifico.

Conclusione

La storia del Canale di Panama evidenzia come l’interazione tra uomo e natura possa determinare il successo o il fallimento delle grandi imprese. Le zanzare, con il loro impatto devastante sulla salute degli operai, dimostrano che la tecnologia e il capitale da soli non bastano a piegare le forze naturali. Solo attraverso la comprensione degli ecosistemi, uniti all’innovazione scientifica, è possibile realizzare opere che sfidano i limiti imposti dalla natura.

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Quando il Buon Proposito diventa un Boomerang: Il Paradosso delle Soluzioni Eco-Friendly, l’Opportunismo degli Infestanti e la Necessità di una Progettazione Consapevole


© Michele Zanconato

Astratto

L’adozione di materiali e soluzioni eco-friendly è ormai una priorità nella progettazione edilizia, nel packaging e nella gestione dei rifiuti. Tuttavia, alcuni materiali progettati con le migliori intenzioni ambientali si rivelano controproducenti se analizzati da un’altra prospettiva: quella della gestione degli infestanti.

Questo articolo analizza il fenomeno dell’opportunismo ecologico degli infestanti, ovvero la loro capacità di adattarsi e sfruttare nuove risorse ambientali con proprio vantaggio. Viene inoltre introdotto il concetto di progettazione consapevole, un approccio multidisciplinare che mira a coniugare innovazione, sostenibilità e prevenzione delle infestazioni, per evitare che soluzioni ecologiche si trasformino in nuovi problemi di gestione.

Introduzione

L’innovazione tecnologica e la crescente sensibilità ecologica hanno portato all’introduzione di nuovi materiali pensati per ridurre l’impatto ambientale. Tuttavia, ciò che per l’uomo rappresenta un miglioramento può trasformarsi in un’opportunità per gli infestanti.

Molti materiali biodegradabili e naturali contengono componenti organici come zuccheri, amidi e lipidi, elementi che alcuni animali e insetti riconoscono come fonti di cibo o come habitat ideali per la nidificazione. Questo fenomeno rientra in un principio ben noto in ecologia: l’opportunismo ecologico. Gli infestanti sono tra le specie più adattabili e resilienti del pianeta, in grado di modificare rapidamente i loro comportamenti per sfruttare nuove risorse a loro disposizione.

Senza una progettazione consapevole che tiene conto di questi fattori, le soluzioni pensate per essere più sostenibili possono finire per alimentare le stesse problematiche che si cerca di evitare. Alcuni esempi evidenziano come la mancanza di questa prospettiva possa portare a risultati inaspettati:

• Bioplastiche nella raccolta differenziata : Le buste in amido di mais, pensate per essere compostabili, attraggono roditori e insetti decompositori, aumentando il rischio di infestazioni nei centri urbani.

• Materiali isolanti attaccati da roditori e picchi : Il cappotto termico in polistirene espanso (EPS), spesso usato negli edifici per il risparmio energetico, viene perforato da roditori e uccelli per creare nidi, compromettendo la sua funzione.

• Trattamenti naturali per il legno: Alcuni oli vegetali utilizzati per trattare strutture lignee senza sostanze chimiche aggressive si sono rivelati attrattivi per termiti e tarli, aumentando il rischio di danni strutturali.

Caso di Studio: Il Paradosso della Plastilina Biodegradabile

Durante un intervento di disinfestazione in un’area con un’alta densità di roditori, si è osservato un fenomeno inaspettato: i topi avevano sviluppato una forte attrazione per una plastilina organica arricchita con aromi naturali. Il materiale, pensato per essere sicuro e privo di sostanze tossiche, si è trasformato in una risorsa alimentare, incentivando la proliferazione della popolazione infestante.

Questo caso dimostra come gli infestanti siano opportunisti per natura. Ogni nuova fonte di cibo o rifugio viene immediatamente individuata e sfruttata, e il loro adattamento è spesso molto più rapido delle strategie di contenimento.

Se nella fase di sviluppo del prodotto fosse stata adottata una progettazione consapevole, si potrebbero apportare modifiche per evitare questo fenomeno, ad esempio attraverso l’uso di sostanze naturali sgradite ai roditori ma innocue per l’ambiente e le persone.

L’Opportunismo Ecologico: Perché gli Infestanti Attaccano i Materiali Ecologici?

L’opportunità ecologica è la capacità di una specie di adattarsi rapidamente a nuove opportunità. Gli infestanti sono maestri in questa strategia, e l’introduzione di nuovi materiali nell’ambiente urbano può generare effetti indesiderati se non viene valutata attentamente.

Diversi fattori chiave favoriscono questo fenomeno:

• L’attrattività delle sostanze organiche

• Gli infestanti riconoscono gli elementi nutritivi contenuti nei materiali biodegradabili e li sfruttano come fonte di cibo.

• I materiali più porosi e leggeri vengono utilizzati per nidificare, poiché offrono protezione e isolamento termico.

• L’adattabilità e la plasticità comportamentale degli infestanti

• Roditori e insetti si adattano rapidamente ai cambiamenti ambientali, imparando a sfruttare nuove risorse.

• L’introduzione di materiali biodegradabili o naturali offre loro opportunità che non esistevano con i materiali sintetici tradizionali.

Questi fattori dimostrano come una progettazione basata solo su criteri ambientali, senza considerare il comportamento opportunistico degli infestanti, possa portare a risultati controproducenti.

La Soluzione: La Progettazione Consapevole

Per evitare che le soluzioni eco-friendly diventino un problema, è necessario adottare un approccio di progettazione consapevole, basato su alcuni principi chiave:

• Analisi preventiva dei materiali

• Testare la resistenza dei materiali agli attacchi di roditori, insetti e uccelli.

• Valutare se le componenti organiche possono risultare attrattive per gli infestanti.

• Integrare repellenti naturali nella formulazione dei materiali, senza comprometterne la sostenibilità.

• Progettazione edilizia con barriere fisiche integrate

• Utilizzare reti metalliche o barriere fisiche per proteggere i cappotti termici.

• Sviluppare sistemi di isolamento resistenti agli attacchi degli infestanti, senza compromettere le prestazioni energetiche.

• Considerare l’utilizzo di materiali alternativi meno vulnerabili agli attacchi.

• Normative specifiche nella gestione dei rifiuti biodegradabili

• Promuovere contenitori più resistenti per il trasporto e lo stoccaggio dei rifiuti organici.

• Implementare sistemi di raccolta e compostaggio che riducono il rischio di infestazioni.

• Monitoraggio costante e adattamento delle strategie di disinfestazione

• Collaborare con esperti di ecologia urbana e disinfestazione per prevedere gli effetti collaterali delle nuove soluzioni.

• Sviluppare strategie di controllo integrato che minimizzino il rischio di infestazioni senza danneggiare l’ambiente.

Conclusioni

L’adozione di materiali ecologici e biodegradabili è essenziale per ridurre l’impatto ambientale, ma senza una progettazione consapevole rischiano di favorire l’opportunismo ecologico degli infestanti. Il caso della plastilina biodegradabile, così come quelli delle bioplastiche, dei cappotti termici e dei trattamenti per il legno, dimostrano che le soluzioni eco-friendly possono trasformarsi in nuovi problemi se non progettati con una visione sistemica.

La vera sostenibilità non si limita a ridurre l’impatto ambientale, ma deve anche anticipare le reazioni dell’ambiente circostante, comprese quelle degli infestanti opportunisti. Solo attraverso una progettazione consapevole possiamo evitare che le buone intenzioni si trasformino in nuovi problemi da risolvere.

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Perché topi e ratti stanno invadendo le città?

Perché topi e ratti stanno invadendo le città?

È una delle domande che mi viene rivolta più spesso. Vivendo e lavorando a contatto con un problema che, da locale, sta assumendo proporzioni globali, è difficile non notare il cambiamento. Perché i roditori sembrano essere ovunque? Perché città come New York, Parigi e, più vicine a noi, quelle dell’Emilia-Romagna, non riescono a contenere la proliferazione? La risposta non è mai semplice, ma voglio provare a mettere ordine nei tanti “perché” che mi vengono rivolti.

Perché i roditori sono in aumento?

Cominciamo dal cambiamento climatico. Gli inverni sempre più miti, come quello registrato in Emilia-Romagna nel 2023-2024, stanno riscrivendo gli equilibri naturali. La temperatura che si mantiene ben al di sopra della media stagionale consente ai roditori di sopravvivere in numeri crescenti e di riprodursi per tutto l’anno. Questo fenomeno si somma a eventi estremi, come le drammatiche alluvioni che hanno colpito la regione nel 2023 e nel 2024. Le inondazioni, spingendo i roditori fuori dalle loro tane sotterranee, li obbligano a spostarsi verso le aree urbane, dove trovano rifugio e abbondanti risorse alimentari.

Perché le città sono il loro habitat ideale?

Le città moderne, pur non essendo progettate per ospitare i roditori, finiscono per offrire loro un habitat perfetto. Rifiuti facilmente accessibili, infrastrutture deteriorate, intercapedini, sistemi fognari aperti e giardini urbani non curati creano un ambiente in cui i roditori prosperano. Non solo: l’espansione urbana spesso invade gli habitat naturali, spingendo questi animali a integrarsi negli spazi antropizzati. È un problema che accomuna metropoli come New York e Londra, ma anche realtà più piccole, come quelle italiane, dove le carenze nella gestione dei rifiuti e nella manutenzione delle infrastrutture favoriscono il problema.

Perché non riusciamo a fermarli?

Non è solo una questione di risorse o tecnologie, ma di approccio. Troppo spesso le città reagiscono al problema invece di prevenirlo. Una progettazione consapevole , che tiene conto del controllo dei roditori fin dalle fasi iniziali della pianificazione urbana, è ancora rara. Esistono le soluzioni: sistemi di raccolta dei rifiuti progettati per impedire l’accesso ai roditori, materiali resistenti nelle costruzioni, chiusura delle fognature e infrastrutture pensate per minimizzare i rifugi disponibili. A ciò si aggiunge la necessità di un’adeguata manutenzione delle strutture esistenti, per eliminare i nascondigli e interrompere le vie di accesso. È un investimento iniziale che riduce in modo significativo i costi ei rischi a lungo termine.

Perché i roditori sono un problema così serio?

Non si tratta solo di un fastidio o di danni materiali. I roditori sono portatori di oltre 40 malattie zoonotiche, molte delle quali possono avere conseguenze devastanti sulla salute pubblica. Tra queste:

• Leptospirosi , trasmessa tramite l’acqua contaminata da urina di roditori.

• Salmonellosi , causata dal contatto con feci o alimenti contaminati.

• Febbre da morso di ratto e persino forme di peste bubbonica , rare ma ancora presenti in specifiche aree.

In Emilia-Romagna, dove le drammatiche alluvioni ei cambiamenti climatici hanno aumentato la proliferazione dei roditori, il problema sta diventando insostenibile. Le infestazioni non solo mettono a rischio la salute pubblica, ma incidono pesantemente sulle economie locali, danneggiando le aziende agricole e aumentando i costi per gli enti pubblici.

Cosa possiamo fare?

Affrontare questo problema richiede un cambio di paradigma. Ecco le priorità per una strategia efficace:

• Progettazione consapevole : Ripensare le città con infrastrutture che riducono le opportunità di nidificazione per i roditori. Ad esempio, creare fognature chiuse, eliminare intercapedini accessibili negli edifici e utilizzare materiali resistenti agli attacchi.

• Gestione dei rifiuti : implementare sistemi di smaltimento efficienti, con contenitori sicuri e raccolte frequenti, per limitare le risorse alimentari a disposizione dei roditori.

• Interventi strutturali : Manutenzione regolare delle infrastrutture esistenti per eliminare i rifugi e le vie di accesso. Questo include la riparazione di fognature, la chiusura di crepe e la sistemazione di giardini urbani.

• Pianificazione del verde urbano : Progettare parchi e aree verdi che non offrano spazi incontrollati per i roditori, ma che integrino misure preventive e favoriscono la biodiversità.

Perché parlarne?

Perché ignorare il problema significa lasciare che cresca, fino a diventare ingestibile. Quella dei roditori non è una sfida solo per le grandi metropoli: anche le comunità locali, come quelle dell’Emilia-Romagna, devono confrontarsi con questo fenomeno silenzioso ma sempre più evidente.

© Michele Zanconato

Insetti e pitture rituali

Nell’antichità, le tribù umane affrontavano quotidianamente numerose minacce, ma una delle più insidiose era indubbiamente rappresentata dagli insetti. Questi piccoli, ma invadenti esseri, erano molto più che un semplice fastidio: mettevano seriamente in pericolo la salute, disturbavano la pace della vita quotidiana e minacciavano la sicurezza alimentare. Gli insetti non erano solo un irritante intralcio, ma un vero e proprio nemico nella lotta quotidiana per la sopravvivenza.

In quest’ambiente ostile, gli uomini e le donne delle prime civiltà dovevano ingegnarsi per proteggersi da questa minaccia costante. Fu proprio in questo contesto di incessante confronto con gli insetti che nacque una delle più significative pratiche culturali: la pittura rituale del corpo con ocra. Questa usanza, che ai nostri occhi potrebbe sembrare primitiva, ebbe origine molto probabilmente come tecnica difensiva contro gli insetti, evolvendosi poi in un’espressione culturale profonda.

L’ocra, un pigmento naturale estratto dalle rocce, si rivelò un elemento chiave in questa pratica. Si presume che l’intuizione di mescolare fango e ocra per creare una barriera protettiva sulla pelle sia nata dall’osservazione degli animali che si rotolavano nel fango per lo stesso motivo. Questa osservazione attenta della natura e del comportamento animale era fondamentale per la sopravvivenza e l’acquisizione di conoscenza.

Col tempo, il processo di preparazione del fango di ocra si trasformò in un rito di passaggio, simbolo di abilità ed esperienza, e la pratica della pittura del corpo si evolse in una forma d’arte ricca di significato. Ogni tribù sviluppò i propri disegni, simboli di appartenenza e di identità collettiva, che venivano applicati con passione durante le cerimonie tribali.

Queste cerimonie, che alle volte si svolgevano sotto il cielo stellato, avevano un’atmosfera magica, con le fiamme dei fuochi che illuminavano le pelli dipinte di ocra. Erano momenti di connessione spirituale con la natura e ringraziamento agli spiriti degli antenati, chiedendo protezione per il futuro.

Oggi, sebbene le civiltà si siano evolute e i metodi per affrontare gli insetti siano cambiati, la pittura rituale del corpo è rimasta un ricordo vivido di quest’antica sfida e un simbolo potente della resilienza umana di fronte alle avversità. La pratica continua a vivere in alcune comunità indigene, mantenendo vive le tradizioni e celebrando la nostra capacità di adattamento e perseveranza attraverso i secoli.

© Michele Zanconato

Le immagini sono ricostruzioni grafiche della storia generate dalla AI

Ma gli insetti sono utili o dannosi?

Ovviamente, facendo questa professione, potreste facilmente immaginare una risposta abbastanza scontata.

La verità però è che la risposta, purtroppo, non è così immediata e banale come si possa pensare.

Il problema del rispondere in maniera secca, appiccicando alla “problematica” un’etichetta rigida, è che si corre il rischio di dimenticare gran parte della storia.

La verità è che un insetto, lo stesso insetto, può essere alle volte utile e altre dannoso, la risposta corretta è, quindi, dipende.

L’esempio che più frequentemente uso per spiegare quello che è il mio punto di vista è quello inerente agli insetti xilofagi.

Gli insetti xilofagi sono molti e appartenengono a ordini differenti ma sono tutti accomunati da una peculiare caratteristica, tutti trovano nel legno la parte prevalente del loro nutrimento.

Utili o dannosi?

Pensate ad una foresta o ad un bosco, entrambi sono ecosistemi complessi e dinamici nei quali tutte le specie presenti ricoprono una importante funzione biologica.

In questo ecosistema, dove il legno è la colonna portante dell’intero ambiente gli insetti xilofagi non solo partecipano alla decomposizione del legno morto, garantendo il rinnovamento stesso del luogo, ma sono anche una vitale fonte di sostentamento per altri animali tra i quali, e cito solo lui perchè:
1 – mi piace particolarmente e
2 – è abbastanza emblematico,
il picchio.

In questo caso, ed è facile intuirlo, queste piccole creature sono indubbiamente utili.

Adesso dal bosco selvaggio inoltriamoci, sperando di non infangarci troppo, in quei filari dritti ed ordinati di alberi che periodicamente tagliati offrono materiali da costruzione.

Qui, ovviamente, l’incontrollata presenza di insetti xilofagi potrebbe, con il loro instancabile lavoro, seriamente compromettere la qualità del legname che con tanto sforzo è stato coltivato, abbassandone notevolmente il valore o, nei casi peggiori, costringendo il produttore a gettare tutto il raccolto.

Ora, abbiate pazienza, spostiamoci un’altra volta ed entriamo in casa.
Andiamo dove teniamo quell’antico mobile che, da generazioni, la nostra famiglia si tramanda.

È un bellissimo mobile, lo guardiamo spesso ricordandoci quando da piccoli ci giocavamo attorno.

Guardandolo con attenzione notiamo sulla sua superficie liscia dei piccoli forellini, capita, a volte, persino di trovare della rosura sul pavimento.

È sicuramente in corso un attacco da parte di questi insetti che rischia non solo di rovinare quel prezioso oggetto ma di farci perdere un bene affettivo al quale siamo particolarmente affezionati è giusto quindi, prima di pregiudicarlo, correre ai ripari con trattamenti specifici.

Provate ora ad immaginare l’impatto su di un oggetto dal grande valore storico- culturale.. conservato in un museo…

Quindi? Utili o dannosi?

Dipende, dipende dalla situazione ma, sopratutto, dipende dal contesto.

© Michele Zanconato

I

La regola aurea

No acqua, no zanzare
No acqua, no zanzare…

Questo è il leitmotiv di chi, come me, si trova a contrastare questo pericoloso insetto da anni.

Eggià, acqua, croce e delizia, risorsa preziosa e, a volte, enorme problema.

In questi giorni di emergenza idrica l’importanza di questo elemento è agli onori non solo della cronaca ma anche dell’agenda politica, tanto locale quanto nazionale.

Molte amministrazioni, giustamente, corrono ai ripari emettendo ordinanze e tentando di dare consigli utili al reperimento ed al giusto utilizzo di questo fondamentale bene.

Purtoppo alcuni di questi consigli appaiono in netto contrasto con ciò che, nel mio settore specifico, come anticipato sopra, risulta essere di importanza cruciale.

Lo ripeto: no acqua no zanzare, no acqua no zanzare!

Quindi, come trovare la quadra?

Qualora necessitiate di raccogliere acqua piovana tentate di raccoglierla in contenitori chiusi alle zanzare.

Potete creare strutture con reti a maglia fine in modo da evitare l’ovoposizione e il successivo sviluppo di questi pericolosi ditteri che, proprio come noi, vista la sua attuale scarsità, ne sono alla costante ricerca.

Se non riuscite a conservare l’acqua in cisterne chiuse utilizzate gli appositi prodotti antilarvali.

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Eventi meteorologici estremi e zanzare

Uno degli aspetti spesso, purtroppo, sottovalutati delle emergenze climatiche e degli eventi atmosferici estremi che gli scienziati – ahi noi (ndr) – ritengono essere sempre più numerosi ricordandoci come una maggiore frequenza, intensità e gravità degli stessi stia diventando la nuova normalità, è legato alla situazione igienico sanitaria e a quello della salute pubblica.

A seguito di questi eventi tanto violenti quanto “inaspettati”, ovviamente, avviene un drammatico sconvolgimento ambientale oltrechè – forzatamente – comportamentale dovuto agli ingenti danneggiamenti alle strutture e alle infrastrutture a servizio delle comunità umane che, evidentemente, interrompono il normale abitare, lavorare e vivere nei propri luoghi.

Queste modificazioni nel tessuto urbano, unite alle torrenziali piogge, offrono non solo nuove disponibilità e opportunità di habitat adatti allo sviluppo degli insetti potenzialmente pericolosi – specialmente a seguito della siccità che ha afflitto il territorio per mesi (ndr) – ma espongono più facilmemte le popolazioni colpite da questi episodi calamitosi all’attacco dei potenziali vettori di malattie alle volte anche molto gravi.

L’ambiente pregiudicato diviene quindi, nelle sue zone più colpite, non solo focolaio di sviluppo dei potenziali vettori che, complici anche le alte temperature, vedranno un incremento esponenziale nella loro popolazione, ma anche ambiente favorevole al contatto tra insetto ed essere umano, facilitato ad esempio, banalizzando ma non troppo, dalla rottura degli infissi e delle zanzariere piuttosto che dall’interruzione della fornitura elettrica che costringerà le persone ad uno stile di vita meno protetto e tutelato nei confronti di questa reale minaccia.

Quello che rimane della campagna è un enorme stagno. Bassa bolognese 2023

Dato che, come visto, il clima è così strettamente legato alle dinamiche delle popolazioni, a quella della trasmissione delle malattie e a quello dell’esposizione ai vettori esiste una crescente preoccupazione per l’impatto di questi accadimenti sulle malattie trasmesse dalle zanzare.

Larve di zanzara

Ciò include tanto gli effetti delle temperature sempre più alte quanto gli eventi meteorologici estremi.

Per controllare le popolazioni di zanzare e prevenire la trasmissione delle malattie, la gestione integrata di questi vettori, in special modo a seguito di questi fenomeni, è generalmente considerata il gold standard.

Questa strategia, basata sulla comprensione dell’ecosistema, è composta da cinque componenti fondamentali:

1) sorveglianza, mappatura e impostazione razionale delle soglie di azione.

2) controllo fisico degli habitat delle zanzare attraverso la manipolazione ambientale.

3) riduzione della fonte, controllo biologico e applicazione di insetticidi mirati.

4) monitoraggio dell’efficacia e della resistenza agli insetticidi.

5) coinvolgere regolarmente la comunità.

La corretta gestione degli spazi, accantierati o meno, con un occhio di riguardo agli accumuli delle acque meteoriche, risulta quindi di fondamentale importanza nei momenti immediatamente successivi a questi disastrosi eventi per poter quantomento tentare di “garantire”  la salubrità ambientale utile alla salvaguardia della salute pubblica già fortemente scossa dall’evento.

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Cimex lectularius

Ricordo mio nonno, ha sempre parlato poco, e i racconti della sua giovinezza erano davvero rari.

Mi raccontava una volta che la notte, in guerra, quando ci si poteva concedere il lusso del riposo era uso immergere i quattro piedi della branda in piattini riempiti di gasolio.

Per anni ho pensato a questo racconto e poi, facendo questo mestiere, ho incontrato la responsabile di questo curioso atteggiamento.

La sua presenza era ben nota anche agli antichi greci che la chiamavano Koris, e ai romani, ai quali dobbiamo il nome Cimex.

Nonosatante in passato fosse praticamente sparita grazie alla disponibilità di insetticidi e al progressivo miglioramento delle condizioni igieniche si nota, negli ultimi anni, una sua nuova recrudescenza.

Brutta, bruttissima bestia.

È la cimice dei letti – Cimex lectularius – assieme alle zanzare, uno degli ectoparassiti che accompagna la nostra evoluzione da migliaia di anni.

Emittero attero, che spesso, durante la notte, abbandona il suo nascondiglio e raggiunge l’addormentato ospite umano per uno spuntino a base di sangue.

Spesso abita in casa, anzi in camera da letto, più precisamente, sovente, proprio nel letto tra le sue fessure e le pieghe del materasso, ma non solo…

Le cimici ci amano a tal punto da poter seguirci sui treni, sugli autobus, sugli aerei o ovunque possano trovarci facilmente.

Silenziosa e dall’aspetto irrilevante spesso ci si accorge della sua presenza solo la mattina dopo la conta dei pomfi.

Se si tarda a prendere sonno la si può sentire sulla pelle e, accendendo la luce, sorprenderla mentre ancora si sta legando il bavaglino.

© Michele Zanconato

Gli scariolanti

A mezzanotte in punto
si sente un grande rumor
sono gli scariolanti lerì lerà
che vengono al lavor.

Volta, rivolta
e torna a rivoltar.
noi siam gli scariolanti lerì lerà
che vanno a lavorar.

A mezzanotte in punto
si sente una tromba suonar
sono gli scariolanti lerì lerà
che vanno a lavorar.

Volta, rivolta
e torna a rivoltar.
noi siam gli scariolanti lerì lerà
che vanno a lavorar.

Gli scariolanti belli
son tutti ingannator
vanno a ingannar la bionda lerì lerà
per un bacin d’amor.

Volta, rivolta
e torna a rivoltar.
noi siam gli scariolanti lerì lerà
che vanno a lavorar.

Miseria che tuffo al cuore.

Ricordo mia nonna che me la cantava da bambino fuori in cortile. Portava un cappello di paglia a tesa larga proprio come quando da ragazza, mi raccontava, faceva la mondina su in Piemonte.

È passato tanto, tanto tempo.

Come hai capito da un pezzo mi piace la storia.
Mi piace la storia piccola, quella che non solo racconta delle scoperte e delle brillanti soluzioni ma anche delle persone, delle difficoltà, del lavoro e della fatica.

Mi piace conservarla quella storia.

Quella degli scariolanti era una vita dura, erano braccia impegnate a scavare e trasportare la terra.
Scavavano canali, alzavano argini, riempivano le paludi seguendo il lungimirante progetto di una radicale modificazione del territorio.

Il territorio paludoso non solo non era utile all’agricoltura, il territorio paludoso mieteva vittime, tante vittime.

Le paludi erano luoghi malsani dove le zanzare, e di conseguenza la malaria, erano le vere e incontrastate regine.

Spesso ci se ne dimentica ma scopo non secondario – modernissimo – delle bonificazioni, e di quegli instancabili uomini, era proprio quello di sottrarre spazio, eliminando le condizioni favorevoli di sviluppo, alle pericolose zanzare anofele responsabili della mortale malattia.

Forse può sembrare strano con tutta l’attuale tecnologia ma, ora come allora, anche se senza la cariola, lo studio della storia e la comprensione dell’ambiente ha grande importanza nella mia dura e quotidiana lotta agli infestanti.

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Nutria

Myocastor coypus, più comunemente conosciuto come nutria, è un mammifero roditore originario del Sudamerica.

La storia del suo peregrinare per il mondo è complessa e, come spesso accade quando si parla di specie aliene invasive, ineluttabilmente legata all’uomo, ai suoi umori ma sopratutto all’economia.

Questo animale fu introdotto in diversi Paesi, cominciando dagli Stati Uniti, sin dai primi anni del Novecento allo scopo di incrementarne l’allevamento per l’industria della pelliccia.

La famosa pelliccia di castorino per intenderci, considerata, sopratutto nella sua variante bianca di cui, ogni tanto, può capitare di osservarne ancora alcuni esemplari, di assoluto pregio.

Quest’anno, pensate, potremmo addirittura “festaggiarne” i cento anni dalla sua introduzione a scopo di lucro nel nostro paese, il primo allevamento italiano risale infatti al 1921 ed era situato in provincia di Alessandria.

La massima espansione di questa attività, sempre comunque circoscritta alla piccola sfera dei micro-allevamenti a conduzione famigliare, si ha attorno agli anni ‘50.

Pare vi fosse anche una associazione, l’Associazione Nazionale Allevatori Castorini.

Attorno agli anni ’70 il crollo del valore di questo tipo di pellame provocò la repentina chiusura di tutti i piccoli allevamenti sparsi per l’Italia, determinando, in molti casi, la liberazione degli individui in natura.

Oggi, dopo cento anni esatti dalla sua introduzione le popolazioni di nutria sono ben presenti non solo nel panorama padano, ma praticamente ovunque vi siano zone umide: fiumi, laghi, stagni, paludi, acquitrini e, senza la presenza di predatori naturali, sono una vera e propria piaga.

Le loro tane hanno il potenziale per danneggiare dighe, scarpate, arginature e sistemi di irrigazione.

La loro attività di foraggiamento poi può facilmente concentrarsi sulle coltivazioni.

Che dire, questo animale è passato letteralmente dalle stelle alle stalle!

Foto da web

© Michele Zanconato