Formiche

Come avrete ormai capito gli insetti esercitano su di me un enorme fascino ma, aldilà di questo, il mio interesse risiede nel capire il loro comportamento.

L’implicazione professionale ovviamente è semplice, banale e scontata, meglio conosco il loro “piccolo” mondo, meglio riesco a controllarli e gestirli.

Vi ho già raccontato della capacità delle formiche di allevare gli afidi, se ve lo siete perso metto il link nel primo commento, ma c’è un’altra caratteristica di questi straordinari animali che mi ha fatto riflettere.

A tal proposito ho pubblicato questa foto.

Necrofagia?

No, non proprio, le formiche, salvo casi eccezionali, non si nutrono della carcassa delle loro compagne.

Bert Hölldobler e Edward O. Wilson nel loro libro Formiche spiegano che questi insetti non riescono a riconoscere la morte delle loro compagne, o meglio, la riconoscono solamente grazie a segnali biochimici.

Quindi, cosa succede quando una formica o un gruppo di formiche trovano una loro compagna defunta sul percorso?

Tendenzialmente la prendono, la portano all’interno del formicaio, la depositano in una stanza dedicata e aspettano.

All’incirca due giorni dopo il segnale odorifero dato dalla decomposizione non lascia dubbi e la carcassa della compagna viene portata al di fuori del formicaio.

Ovviamente non si tratta di un rito funebre come possiamo immaginarci ma il rispetto per la vita, o più pragmaticamemte l’utilità, di ogni singolo componente della colonia è un aspetto interessante e peculiare di questi piccoli ma veramente straordinari animali.

In foto: gruppo di Crematogaster scutellaris che rimuovono una compagna.

© Michele Zanconato

Bat tower

Senza memoria tutto, tutto, pare accadere per la prima volta.

Siamo negli Stati Uniti d’America, siamo sulle Keys, è il 1929 e un imprenditore, di nome Richter Clyde Perky, sogna in grande.

Il signor Perky vuole trasformare Sugarloaf, la cittadina dove vive, in una località turistica, d’altronde è da poco stata stata costruita la ferrovia che la collega al resto del continente e, si vocifera, presto verrà costruita una vera strada.

Insomma il posto è bello, perchè non approfittarne per fare un bel mucchio di soldi si chiede.

Ma c’è un problema, un grosso problema che potrebbe fare fuggire a gambe levate tutti, ma proprio tutti i potenziali futuri clienti.

Le zanzare!

Determinato a portare avanti il progetto, Perky, si imbatte su una ricerca del Dott. Charles Campbell, vero esperto in materia.

Perky contatta Campbell e riesce ad acquistare i progetti per una grande torre.

Una torre?

Èggià, già da allora si tentavano tutte le vie non solo per contrastare il fastidio delle zanzare ma sopratutto per combattere le malattie da loro trasmesse.

L’idea era “semplice”, visto che i pipistrelli mangiano le zanzare, si costruisce una torre, ci si mettono dentro dei pipistrelli e li si lascia liberi di pasteggiare della abbondante risorsa presente nel luogo.

Perky costruisce la torre spendendo circa 10.000 dollari, una vera fortuna durante la depressione, e finalmente ci mette i pipistrelli, impaziente attende i risultati, e niente, già la prima notte tutti i mammiferi alati scappano senza mai più farsi vedere.

Il Dott. Campbell, che ovviamente seguiva con interesse l’esperimento, rimase deluso dall’esito e si allontanò per mesi a riflettere, intuendo, infine, che i pipistrelli da qualche parte avrebbero pur dovuto essere; bastava trovarli, spaventarli e costringerli a trovare “fortunosamemte” le torri ed eleggerle a rifugio sicuro.

Molte torri furono innalzate.

La fama di Campbell accrebbe enormemente tanto che una decina di torri vennero innalzate anche in Italia.

Poche le torri che sono ancora esistenti, nessuna in Italia, sembra però che a Brindisi sia presente ancora il basamento di una di esse.

Nelle Keys la malaria fu debellata, ovviamente non solo tramite il piccolo aiuto dei pipistrelli, l’intuizione era giusta per la specie di zanzara che la trasmette ma insufficiente per contrastaele

Purtroppo la lotta alle zanzare è ancora in atto a livello globale…

© Michele Zanconato

Foto da web

Facciamo snorkeling?

Ben che succede, ci facciamo un tuffo in un caldo mare tropicale oggi?
Magari andiamo alla scoperta della coloratissima fauna marina?

No no!

Oggi voglio portarvi in una pozza maleodorante, un aquitrino sporco, inquinato e praticamente privo di ossigeno disciolto.

Bello è? Non vedavate l’ora…

Certo avrei potuto portarvi in un fosso, in un laghetto, in uno stagno, in un secchio, in un copertone, nel vasetto di una pianta in idrocoltura o in una qualunque altra raccolta di acqua, piccola o grande però no, oggi ho scelto questa nauseabonda pozzanghera.

Un luogo in cui la vita, praticamente tutta la vita, è inesistente eppure, grazie ad un’ efficace adattamento evolutivo, un luogo perfetto in cui moltissimi giovani se la godono alimentandosi, praticamente senza rischi, di tutte le abbondanti risorse disponibili.

Èggià, un luogo magico, un vero e proprio paradiso per lo snorkeling!

Ma chi sono questi giovanotti che passano tutta la loro giovinezza a mollo?

Le zanzare.

Le zanzare nascono e crescono felici e spensierate in una qualsiasi raccolta di acqua ed uno strano apparato respiratorio gli consente di respirare anche in questa fetida raccolta.

Esattamente come lo snorkel il sifone presente nelle larve di zanzara gli consente, respirarando aria direttamente dall’atmosfera, di approfittare di qualunque luogo – anche il più schifoso – per svilupparsi nel fastidiosissimo e potenzialmente pericoloso adulto.

Per questo la disinfestazione risulta complessa e laboriosa, alle volte una vera e propria indagine alla C.S.I., e non è più limitata, fortunatamente, al solo e scenografico pick up.

© Michele Zanconato

Per qualsiasi informazione ci trovate qui:

Michele 339 7751478

La Scutigera

Da sempre il fascino dei documentari cattura l’interesse di molti telespettatori.

A chi non è mai capitato di immedesimarsi in una preda che, nonostante una folle corsa, non riesce a sottrarsi al suo “famelico” predatore?

Spesso però tendiamo a credere siano dinamiche lontane, chennesò, esotiche.

È vero, spesso sono raccontate le vicende dei pericolosi grandi predatori ma cosa direste se vi dicessi che molto probabilmente nell’oscurità, anche nelle nostre case, seppure in maniera micro, si svolgono le medesime situazioni?

Chiudete gli occhi e provate ad immaginarvi 15 paia di zampe, delle lunghe antenne, un corpo perfettamente adattato all’ambiente che, furtivo e silenzioso, vi segue…

Detta così fa già perdere il sonno vero?

È la Scutigera coleoptrata.

Un veloce e scattante predatore che riesce a percorrere circa 41 cm al secondo, per le sue modeste dimensioni sono un bel po.

Non è propriamente un insetto bensì un artropode chilopode, un “centopiedi” in sostanza.

C’è un motivo per cui possiamo trovarla facilmemte mentre cerchiamo uno spuntino di mezzanotte in cucina, è un potente cacciatore che approfitta della notte per nutrirsi.

La Scutigera caccia ragni ed insetti, è velenosa, e utilizza le tossine per immobilizzare la sua preda a seguito del morso, NESSUNA PAURA però, la Scutigera non è pericolosa nè per l’uomo nè per gli animali domestici.

Raramente morde un essere umano, capita soltanto quando, sentendosi aggredita, cerca l’ultima via di scampo. Quando succede non è peggiore della puntura di un’ape e il gonfiore nella zona del morso tende a sparire in qualche giorno.

È una creatura affascinante e ci sono alcuni fatti bizzarri su queste creature che difficilmente si vengono a sapere.

È piuttosto “vanitosa” la Scutigera, presta particolare attenzione alle cura delle sue 15 paia di zampe, dopo ogni pasto infatti trascorre molto tempo a pulirsi.

Può vivere a lungo, fino a tre anni, molto più a lungo della durata della vita di altri insetti, alcuni individui possono persino raggiungere i cinque anni.

Qualora per diversi motivi capiti, ha la capacità di rigenerare le zampe.

In Giappone è considerato un animale domestico e può diventare abbastanza grande. Sono chiamati “geji” o “insetti buoni” perché liberano le case da altri parassiti peggiori.

Se doveste incontrarla quindi non commettete l’errore di ucciderla.

Perchè?

La sua presenza può certamente non piacere, ma si tratta pur sempre di un valido alleato, un piccolo predatore in grado di catturare altri insetti indesiderati e fastidiosi.

© Michele Zanconato

A cuore aperto…

Contrariamente a molti “colleghi” concorrenti non vendo interventi,

davvero,

con tutto me stesso,

cerco di offrire soluzioni.

Onestamente e coerentemente.

È vero, il mio lavoro contribuisce a dar da mangiare a mia figlia, alla mia famiglia – compresi i nostri tre bei micioni – e a me.

E allora?

Diciamoci la verità, semplicemente potrei limitarmi a vendere una prestazione a settimana,

tiriamola lunga và,

una ogni 15 giorni, giusto?

Uno 0,5% di prodotto e via…

In quanti lo fanno?…

Ci assicurerei di certo una tranquilla serenità economica e perché no, seguendo stupidamente un calendario, pure una discreta libertà organizzativa, non trovate?

Ma a che costo?

Al costo di spandere biocida insensatamente per il territorio?

Al costo di fingere di non vedere l’impatto che un momentaneo sollievo può avere sull’intero ecosistema?

Lo sapete che certi studi indicano una drastica riduzione delle api a livello globale?

No, non sono un radicale.

Credo di non esserlo mai stato.

Non sono una persona che esclude a prescindere le cose ma, con il tempo, anche se non è semplice, sto cercando una mediazione.

Perché? Perché amo il mio lavoro!

Lo amo davvero e ne vedo l’importanza!

Intervenire?

Certo!

Quando ha senso però.

Come avrete letto sopra ho una figlia, e queste domande è da molto che me le faccio.

Adesso che ci penso ancor da prima che arrivasse, pensate un pò ora che c’è…

Sinceramente?

Il mio obiettivo è farla crescere e vivere in un mondo scente e cosciente.

Sia chiaro,

non certo privo di rischi ma almeno che questi – per quanto in mio potere, e per quello che è il mio settore di riferimento – siano calcolati ma sopratutto equilibrati.

Voglio continui a godere di ciò che è la natura,

quella vera,

senza l’assurda necessità di emanciparsi da essa.

Voglio continui a capire la differenza tra ape e vespa.

Voglio continui ad osservare gli impollinatori e di notte, ammetto in questo senso che il nostro contesto è fortunato, anche se decisamente aiutato, delle lucciole.

Centinaia di lucciole!

A proposito…

uscendo un attimo fuori tema…

Avete mai fatto l’amore con la persona che amate in un prato pieno di lucciole?

Bhè credetemi, aggiunge quel tocco di fantasia e romanticismo che ha il suo perchè!

Ehm, torniamo a noi, ma quindi? Vi chiederete, qual’è il tuo mestiere?

Studiare, èggià, strano vero?

Sono un disinfestatore ma, ancor prima di provare ad aiutarvi, il mio mestiere è quello di studiare, ovviamente nel tentativo di proporvi consulenze, non solo tempo e litri di prodotto.

Per questo il mio approccio nei confronti del problema degli infestanti può essere considerato, a differenza del “si è sempre fatto così”, sui generis.

Sono brusco?

Alle volte, devo ammetterlo,

si!

avete ragione!

Ma ho bisogno di voi, del vostro aiuto e della vostra collaborazione, perché nonostante ciò che magari molti vi abbiano raccontato…

Non esistono soluzioni semplici a problemi estremamente complessi…

© Michele Zanconato

Ospiti – corvidi –

Seguendo un trend purtroppo oramai comune a molte città e villaggi europei è facile notare come la popolazione di corvidi sia nettamente in aumento.


Gazze ladre (Pica pica) e cornacchie grigie (Corvus cornix) sono oramai comunissime.


Ma chi sono questi, anche se non nuovi, sempre più numerosi compaesani?


La famiglia Corvidae è presente in quasi tutto il mondo, con 25 generi e 130 specie: sono uccelli molto adattabili e di un’intelligenza straordinaria.


Già gli antichi greci si resero conto del loro acume infatti, l’antico poeta greco Esopo, nella sua favola dedicata al corvo, lo immagina mezzo morto di sete.
Il corvo trova un’anfora, ma dentro è rimasta poca acqua e non ci arriva col becco.
Gli viene allora l’idea di gettare un ciottolo e altri ancora nell’anfora, fino a fare salire l’acqua e dissetarsi. Sembrerà strano ma, ispirati proprio da Esopo recenti studi hanno dimostrato le meravigliose capacità di questi animali nel problem solving annoverandoli nello speciale club degli animali più intelligenti che, sino a pochi anni fa, era a quasi esclusivo appannaggio delle scimmie antropomorfe.


Recenti test sono riusciti anche a dimostrare, nel caso di una Gazza ladra la capacità di riconoscersi allo specchio, considerata la prova regina nell’intelligenza animale.


Anche a Stellata, il piccolo paese dove vivo, come in molti altri luoghi, è addirittura facilmente osservabile la capacità di ragionamento complesso da parte dei corvidi, nella cornacchia grigia, ad esempio, si può infatti notare l’abilità con cui lascia cadere una noce sulla lingua di asfalto per poi, una volta che un’automobile l’abbia schiacciata, andarne a prelevare il frutto oramai disponibile.


Che dire, il fascino di questi animali va ben oltre il loro aspetto fisico anche se purtroppo, la velocità riproduttiva, le sorprendenti capacità adattative, e la loro dieta onnivora potenzialmente li rende una seria minaccia per la oramai fragile e talvolta compromessa biodiversità urbana.

© Michele Zanconato

Oggi problema, ieri? Risorsa! Le talpe

Attenzione: non è mia intenzione farlo, ma trattandosi del racconto di un’usanza che prevedeva cattura e uccisione di animali, questo post potrebbe urtare la sensibilità di qualcuno.

Nel 1922 prende in Italia il potere il Fascismo e dopo un’iniziale politica economica di stampo liberale inizia ad instaurarsi nel “credo” nazionale il principio dell’autarchia che, in sostanza, prevede la totale autonomia e autoproduzione di uno Stato.

La “battaglia del grano” fu una delle prime iniziative in tal senso appoggiate da Mussolini. Lanciata il 4 luglio del 1925 essa tendeva a incrementare la produzione nazionale di cereali fino all’autosufficienza.

Anche il decreto Legge del 14 gennaio del 1929 ha finalità simili: tutte le pubbliche amministrazioni devono acquistare solo prodotti nazionali, anche se fuori mercato.


Il 24 Settembre 1931 poi, i già onerosi dazi doganali, vengono ulteriormente innalzati. Ma è nel 1936 che Mussolini, all’Assemblea Nazionale delle Corporazioni, esaspera i toni e conferma l’assoluta scelta autarchica come risposta alle sanzioni del 3 novembre 1935 della Società delle Nazioni che vietava all’Italia l’esportazione dei suoi prodotti e il commercio di armi dopo l’invasione dell’Etiopia (2 ottobre 1935). In quell’occasione Mussolini comunicò l’obiettivo di “realizzare nel più breve termine possibile il massimo possibile di autonomia nella vita economica della Nazione”, per raggiungere una reale “autonomia politica” e “liberarsi nella misura più larga possibile delle servitù straniere”. Da quel momento l’autarchia diventa l’asse portante delle politiche economiche italiane.

La penuria di materie prime che si determina in questo clima di chiusura ha, tra gli effetti secondari, la riscoperta di antiche tecniche per l’approvvigionamento di beni.

Tra queste c’è la caccia alla talpa.

In alcuni testi si legge dell’usanza settecentesca di usarne la pelliccia per la creazione di accessori estetici in voga tra le dame veneziane (sopracciglia e nevi).

Così, oltre che a liberare i campi da un animale infestante, i cacciatori di talpe potevano accedere al mercato della moda. Nascono così i “topinarai”, persone esperte nella raccolta, nella conciatura e nell’essiccazione delle pellicce di questi mammiferi sotterranei.

Anche a Stellata, il paese dove vivo, stando ai racconti dei suoi abitanti, c’era chi si occupava in questa attività – magari come secondo lavoro – fino agli anni ’50.

Nei mesi tra marzo e ottobre, i più adatti per l’ancora fitto e folto manto invernale delle talpe, gli uomini partivano il mattino presto verso i luoghi di caccia con tutti gli strumenti del mestiere (trappole, forbici e sacchi). L’esperienza nell’osservazione era indispensabile per capire in quali gallerie posizionare le trappole.

I meccanismi erano semplici: piccoli congegni costituiti da legnetti, fil di ferro e molla.

I campi più adatti erano quelli coltivati ad erba medica, specialmente se vicini a rigagnoli d’acqua.

Armate le trappole, i cacciatori tornavano soltanto il giorno dopo a controllare se la caccia fosse stata fruttifera o no. A cattura avvenuta, i topinarai scuoiavano le talpe con le forbici con un taglio netto dal muso alla coda.

La pelle veniva inchiodata e tesa a un telaio e lasciata essiccare.

Le pellicce pronte erano gelosamente conservate in un’apposita valigia semiaperta sotto il letto, in attesa della vendita. Solitamente piazzate a lotti di cinquanta pezzi, il loro valore variava – a seconda della qualità – da alcuni centesimi a svariate centinaia di lire.

Una curiosità: se ho interpretato bene un testo di agraria del 1832, la “tupinara” o “topinara” non indica la talpa, ma il cumulo di terra che rende riconoscibile il complesso sistema sotterraneo di gallerie scavate da questo piccolo mammifero.

© Michele Zanconato

Fonti:

  • Il cacciatore di talpe – http://www.fungoceva.it
  • Cacciatori di talpe
  • Nuova agricoltura e pratica Vol. 29/30 1832
  • Dizionario Treccani

Alieni

È esistito un tempo, tanto tanto tempo fa, in cui ci si svegliava al  canto del gallo.

Semplicemente.

Era l’inizio, come ogni giorno, di una intensa giornata fatta di grandi sacrifici e quotidiane piccole abitudini

Giornate scandite non solo dal trascorrere del tempo ma, sopratutto, dalla luce del sole.

Devo essere onesto, i miei ricordi non sono miei, bensì i ricordi dei racconti dei miei nonni.

Io non mi sono mai svegliato con il canto del gallo.

Forse si, da piccolo, in vacanza, ma non ricordo.

Il mondo da allora è cambiato.

Il mondo è diverso.

Frenetico.

Veloce…

Interconnesso.

Tant’è che oggi, quando suona la mia sveglia, il gallo, se è furbo, è ancora a nanna!

Persino la luce, oggi, ha perso gran parte della sua importanza.

Rispetto ai ricordi dei miei nonni il tempo si è via via compresso, e non solo, persino lo spazio, quello spazio che sembrava sino ad un certo punto infinito ha subito variazioni.

Il mondo?

Il mondo letteralmente si è espanso.

Il fatto è che, nell’oggi, anche se non è una cosa bella, ci si può svegliare pure a Bologna al canto dei pappagalli.

11 Gennaio 2021 – Colonia di Via del Pilastro – Bologna

Sono Parrocchetti, Parrocchetti dal collare – Psittacula krameri – per la precisione.

Chiassosi animali che, dopo essere fuggiti da allevamenti privati, si sono perfettamente adattati alla loro ritrovata libertà.

Nonostante la loro indubbia nota di colore e la più che giustificabile meraviglia nel poter osservare questi animali così fuori contesto, oltre che fuori controllo,  rientrano a pieno titolo nella oramai lunghissima lista delle cosiddette specie aliene invasive.

Già nel luglio 2007 l’Unione Europea ha tentato di correre ai ripari vietandone l’introduzione in tutto il suo territorio.

Il danno però, purtroppo, era già stato fatto.

Il Parrocchetto è infatti presente, e diffusissimo, praticamente in tutti i paesi europei creando non pochi disagi nella gestione e preservazione dell’avifauna autoctona.

Insomma, cambiamenti climatici, globalizzazione ma anche, e più spesso di quanto si pensi, i nostri stessi cattivi comportamenti rischiano di minare, alle volte in maniera irreversibile, l’intero ecosistema.

© Michele Zanconato

Butgan, dagan, zuntgan…

Queste parole, che ho scritto di proposito in ferrarese ma che possono essere tranquillamente declinate in un qualunque altro dialetto, vengono spesso tristemente ascoltate da chi, con passione, fa la mia professione.

A dire la verità, data la convinzione con cui vengono dette, pare che chi le pronuncia la sappia davvero molto lunga.

È triste notare poi quanti “professionisti”, lusingati dalla prospettiva di guadagnare alcuni euro, accondiscendano a queste richieste.

Ne tento una traduzione non letterale per una più facile comprensione…

  • Butgan: buttane (gettane tanto, di più, di più, ancora…)
  • Dagan: dagli addosso (spesso con insistente e immotivata cattiveria)
  • Zuntgan: aggiungi (aumenta di molto il dosaggio)

Ora,

io capisco il fastidio, il disagio e la violenza che alcuni insetti possono dimostrare impadronendosi dei nostri spazi ma…

sicuri che un sovradosaggio sia utile?

Davvero credete che conti di più?

Armati della vostra pompetta a spalla veramente ne sapete una più del diavolo?

Adesso,

onestamente,

aumentereste mai la dose di un farmaco prescrittovi dal vostro medico curante?

No vero?

E fate bene!

Qualunque principio attivo, e quelli presenti nei disinfestanti non fanno eccezione, ha un suo senso e una sua posologia

ma sopratutto

va utilizzato con scienza e coscienza.

© Michele Zanconato

Foto da web

Ospiti – scorpioni –

Avete mai incontrato uno scorpione?

L’incontro con questi aracnidi notturni è sempre motivo di forte emozione e questo nonostante, ed è il mio caso, si possa averli incontrati per lavoro centinaia di volte.

Ma, pensate un po’ a come potrebbe essere questo incontro qualora l’animale brillasse…

No no tranquilli, non è l’ennesima specie aliena, non è nemmeno una modificazione genetica, non c’entrano le scie chimiche ne, tantomeno, gli omini verdi.

È una curiosa, ed ancora parzialmente sconosciuta, caratteristica di questi aracnidi che, se esposti a luce ultravioletta, emettono un bagliore brillante.

Tecnicamente la fluorescenza degli scorpioni è data dallo strato di ialina presente nella cuticola dell’esoscheletro, ma la sua funzione, per la vita degli scorpioni, rimane ancora oggi un mistero.

Scorpione che illuminato da luce nera brilla

Ma chi sono questi animali?

Gli scorpioni sono predatori attivi prevalentemente di notte.

Cacciano insetti, ragni, e altri piccoli animali.

Le prede piccole vengono afferrate con le chele, le prede più grandi invece vengono prima paralizzate con il veleno dell’aculeo e poi sminuzzate pronte per essere mangiate.

La femmina genera piccoli già attivi, semitrasparenti, uguali agli adulti, che trasporta per alcuni giorni sull’addome.

Trascorrono il giorno in tane ricavate in crepe, anfratti, legnaie e nascosti sotto i sassi.

Euscorpius Sp.

La puntura di scorpione, almeno per quanto riguarda gli animali presenti nel nostro Paese, non rappresenta un pericolo anche se può causare dolori e gonfiori al pari di una puntura di vespa.

In caso di allergie particolari o di punture a bambini, anziani e piccoli animali domestici, alla comparsa di sintomi come febbre e gonfiore localizzato, per scongiurare qualsiasi complicazione, è importante rivolgersi a personale medico competente in breve tempo.

Euscorpius Sp.

Ad oggi, nella maggior parte del territorio italiano risulta essere presente soltanto il genere Euscorpius (famiglia Chactidae) con alcune sue sottospecie.

Le dimensioni si aggirano mediamente intorno a 3-4 cm, secondo la specie.

La colorazione è generalmente scura ma E. flavicaudis si può riconoscere dalle altre per il colore dell’aculeo e degli arti di solito giallastro.

E adesso una curiosità storica!

Lo sapevate che i Duchi d’Este trovarono proprio nella segretissima ricetta di olio di scorpione una loro “cura” per la peste nera?

Non credo funzionasse benissimo ma qualora voleste tentarne la realizzazione di seguito la ricetta…

© Michele Zanconato

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